Nello scorso appuntamento con PerformIA Culture abbiamo osservato come il rapporto tra arte e tecnologia sia sempre stato forte e imprescindibile. Oggi questo rapporto si è ulteriormente evoluto raggiungendo il nuovo orizzonte dell’arte generata da intelligenza artificiale. Le prime domande che sorgono spontanee sono sicuramente: “In cosa consiste questo tipo di arte? Che cos’è l’intelligenza artificiale? Come si applica all’arte e quali sono le intelligenze artificiali che utilizzano gli artisti?”. Vediamolo insieme.
Innanzitutto, c’è da sottolineare che spesso la Artificial Intelligence Art viene confusa con la Digital Art; tra le due, però, esiste una sostanziale differenza. Nella Digital Art, infatti, l’opera è definita computer assisted, ovvero viene generata dall’artista con l’ausilio di mezzi tecnologici digitali come, ad esempio, una tavoletta grafica; l’Artificial Intelligence Art, invece, è un’opera totalmente computer generated, nel senso che l’algoritmo d’intelligenza artificiale utilizzato non è solo un mezzo di cui si serve l’artista, ma ha una certa autonomia all’interno del processo creativo.
L’intelligenza artificiale è definita come un insieme di sistemi informatici intelligenti in grado di simulare le capacità e il comportamento del pensiero umano. La disciplina legata al suo studio nasce circa alla metà degli anni ’50 del Novecento, quando vennero creati i primi programmi capaci di una qualche forma di “ragionamento”, in particolare legati alle dimostrazioni di problemi di geometria complessa. Negli anni ’80, poi, le intelligenze artificiali escono dalle Accademie e trovano applicazione pratica in ambito industriale. Da questo momento assistiamo a numerosi utilizzi e implementazioni di questi sistemi fino ad arrivare ai giorni nostri, in cui l’intelligenza artificiale diventa parte integrante della vita quotidiana, applicata alle situazioni più disparate. Anche nell’ambito artistico, da sempre particolarmente sensibile e all’avanguardia verso le nuove tecnologie, si manifesta forte l’esigenza di approfondire e sondare nuove possibilità espressive attraverso l’AI e di aprirsi a scenari estetici alternativi.
Nelle loro sperimentazioni, gli artisti utilizzano diversi sistemi di intelligenza artificiale, dagli algoritmi di segmentazione agli algoritmi trasformativi, ma la maggior parte di loro è affascinata in particolar modo dalle GAN – Generative Adversarial Networks (reti generative antagoniste): coppie di reti neurali con una struttura duale e interattiva che sono predisposte a una forma evoluta di apprendimento automatico, sconosciuta ad altre forme di intelligenza artificiale. Le GAN hanno una struttura complessa; comprenderne il funzionamento ci consente di capire come mai gli artisti ne siano così affascinati e le considerino strumento prediletto nel percorso di concepimento artistico. Queste coppie di reti neurali sono composte da un algoritmo generator (generatore) e da un algoritmo discriminator (discriminatore) che si approcciano tra loro con una modalità antagonista. L’uomo – nel nostro caso, l’artista – inserisce all’interno del sistema un set di dati di riferimento e addestramento per la GAN (suoni, parole, immagini). L’algoritmo generatore inizierà a produrre la stessa tipologia di dati (suoni, parole, immagini) mentre l’algoritmo discriminatore scarterà tutti quelli che si scostano dal set predefinito, sino a quando non saranno rimasti solo quelli più simili e vicini possibile ai suoni, parole e immagini di input. L’algoritmo generatore a un certo punto sarà stato addestrato dalla selezione dell’algoritmo discriminatore e riconoscerà i dati “giusti” da generare, per cui continuerà a produrre suoni, parole, immagini di output con caratteristiche simili a quelle dei dati utilizzati come riferimento. In questo modo è come se “ingannasse” l’algoritmo discriminatore stesso. Questo sistema dal carattere relazionale e instabile costituisce un elemento di grande interesse in quanto apre la strada a numerose possibilità espressive, con intenti anche molto diversi tra loro.
Nelle GAN il processo di rielaborazione dei dati, essendo affidato alla macchina, sfugge parzialmente al controllo umano, portando a risultati inaspettati con cui l’artista poi interagisce. A seconda del set di dati usato come riferimento all’interno del sistema, gli esiti saranno molto diversi tra loro: alcuni artisti inseriscono volutamente dati disomogenei, poco accurati o incoerenti con lo scopo di ottenere effetti meno prevedibili e controllati possibile; altri artisti utilizzano come set di riferimento elementi o immagini desunte dalle loro stesse opere così da ottenere output che mantengano il proprio stile, e che possano servire come spunto di riflessione e nuovo punto di partenza e ispirazione.
Ogni processo creativo, per definizione, porta con sé una temporanea perdita di controllo e non è altro che il prodotto tra l’intenzione originaria dell’artista e la sorpresa di quello che l’opera d’arte diviene al termine del processo creativo. Nell’arte generata da AI, questo processo e questa consapevolezza vengono portati all’attenzione del pubblico. L’artista in un certo senso rinuncia al proprio ruolo di assoluto creatore e diventa co-creatore insieme all’AI, in un processo di genesi dell’opera più complesso che mette in luce la dinamica stessa della nostra vita e del mondo in cui viviamo.